giovedì 25 ottobre 2007

L'ecologia del non fare

di Tom Hodgkinson

La ricerca di uno stile di vita responsabile nell'ambiente ecologista ha assunto delle qualità che potremmo definire religiose. Così come per una persona religiosa la cosa più importante è salvare la propria anima, così per l'ecologista è quella di salvare il Pianeta. Entrambi si prefiggono come meta finale la salvezza.

Alcuni degli ecologisti più estremi prevedono una qualche sorta di apocalisse. Se la crisi imminente sarà scatenata dalla crisi petrolifera, da un collasso del sistema finanziario o da un disastro planetario, non ne sono sicuri. Ma la fine del mondo, dicono i profeti, è certamente vicina. E in questo vediamo un altro parallelo con le religioni: ogni culto promette ai suoi adepti che loro, solo loro, saranno salvati. Così ci convinciamo che grazie a pannelli solari, generatori eolici e orti biologici saremo inclusi in quella cerchia privilegiata. Nello stessmo modo in cui nei circoli religiosi c'è sempre stato un dibattito acceso sul modo migliore di raggiungere la salvezza, gli ecologisti discutono su quale sia lo stile di vita meno dannoso. È meglio la vita in campagna perché è più salubre o la vita in città perché si utlizza meno l'automobile? È meglio comprare biologico al supermercato o andare dal contadino locale? È meglio usare le borse di cotone o riciclare quelle di plastica?

L'intero movimento ecologista è pieno di domande e interrogativi, proprio come un tempo è stato per il Cristianesimo: i teologi del Medioevo producevano dei veri e propri manuali con tutte le risposte alle questioni etiche che turbavano il loro gregge. Come il Cristianesimo medievale, anche il movimento ecologista esalta la vita di comunità ed ha una profonda sfiducia nei confronti del denaro e del capitalismo.

Intendiamoci, nel paragonare il movimento ecologista a una religione non lo sto affatto criticando. La fede in una salvezza tramite delle buone azioni in passato ha fatto in modo che almeno alcune di queste buone azioni fossero portate a termine. Allo stesso modo uno stile di vita responsabile è un modo efficace per miglioare la nostra qualità di vita e rimettere in discussione il nostro sistema di valori. Indipendentemente dal fatto che venga o meno la fine del mondo.

Ci stiamo in ogni caso ponendo una domanda importante: come vivere? È proprio in riviste come queste che vedo un rifiuto della ristretta visione materialistica che dominato la cultura europea per 250 anni, che affonda le sue radici nel puritanesimo del XVI secolo, a favore di una cultura della reciprocità e della condivisione. I monaci di un tempo ritenevano che coltivare ortaggi, prodursi il pane e farsi il vino fossero occupazioni degne per la vita di tutti i giorni - proprio come noi.

Dobbiamo toglierci dalla testa però che una vita resposabile ed etica implichi sacrificio ed austerità, e soprattutto che le nostre convinzioni debbano essere inculcate negli altri. Queste sono idee ereditate da quel filone di pensiero occidentale convinto che vita vuol dire sofferenza, che l'uomo è malvagio e deve essere corretto per essere salvato.

A volte anche alcuni ecologisti possono assumere questo tipo di atteggiamento: "Peccatori, pentitevi! Gettate le vostre automobili e abbandonate la vostra diabolica dipendenza dal petrolio prima che sia troppo tardi!". Queste persone sono convinte che la soluzione sia soltanto nell'azione. Ci viene detto che dobbiamo "fare qualcosa" e subito, che la salvezza si trova alla fine di una lunga strada lastricata di sudore. Beh, sarò provocatorio ma secondo me la salvezza sta soprattutto nel piacere, nella creatività e nel bighellonare facendo poco o niente. Per il bene del Pianeta la prima cosa non è quella di fare, ma di fare meno. Molto meno.

Uno dei miei libri preferiti è "La rivoluzione del filo di paglia" di Masanobu Fukuoka, guida per eccellenza dell'agricoltura del "non fare" e allo stesso tempo un'importante riflessione filosofica. Fukuoka si ritirò dalla società negli anni Trenta per praticare un'agricoltura senza utilizzo di fertilizzanti chimici - che andavano particolarmente di moda in quegli anni, in Giappone come nel resto del mondo - e senza utilizzare l'aratro. Si tratta di un approccio che viene consigliato anche in alcuni manuali di agricoltura biologica.

Io stesso ho applicato i principi di Fukuoka nel mio orto. Meno lavoro, prodotti di qualità e limitazione dell'intervento umano è una combinazione imbattibile: Fukuoka afferma infatti che è l'intervento stesso dell'uomo a creare tutti i suoi problemi. Quindi la soluzione è quella di fare meno, non di più. Allo stesso modo, invece di andare a Roma per una marcia di protesta o andare in giro per il mondo a seguire conferenze sul cambiamento climatico, seguite il consiglio dell'ecologista Stephen Harding e stendetevi all'ombra su un fianco della collina. Facendo così salverete il pianeta - e forse anche la vostra anima.

Tratto dalla rivista Aam Terra Nuova - Ottobre 2007

1 commento:

dampyo ha detto...

perfettamente d'accordo..
the dreamer grazie per aver riportato questo articolo